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Mereghetti: “Grandi film per grandi schermi”

Nel numero in edicola di Ciak è contenuto il seguente articolo a firma di Paolo Mereghetti.

Aiuto, mi si è ridotto il piacere! E se prima di ogni recensione, il critico dichiarasse pubblicamente dove ha visto il film questione? Al cinema, su un televisore, sullo schermo del computer, su quello dell’iPad? La domanda mi è venuta quando ho rivisto La la land sul televisore di casa, in Blu-ray. L’avevo già visto due volte al cinema, quindi non avevo problemi né a sapere come andava a finire la storia né temevo di farmi mancare qualche sorpresa. Anzi, il piacere era proprio quello di rivedere e soprattutto di risentire le scene e i numeri musicali che mi erano piaciuti di più. Peccato che nel passaggio dal grande al piccolo schermo, si sia ridotto anche il piacere della visione. Non c’è stato niente da fare: sui quarantasette pollici del televisore di casa mia, la messa in scena di Damien Chazelle perdeva energia, forza, emozione. E non solo nelle scene di massa (come quella che apre il film), anche in quelle più intimiste: i ricordi di Parigi evocati da Emma Stone dopo durante il suo ultimo provino, e che si intrecciavano con le forme multicolori dei film di Jacques Demy, finivano per essere più sbiaditi e soprattutto meno emozionanti.



Vedo spesso dei film in televisione, per lavoro o per piacere. Soprattutto vecchi film che sovente assomigliano a boccate d’aria fresca dentro all’asfittico panorama di troppi titoli d’oggi, ma una sensazione così forte di “perdita” non l’avevo mai provata. Non è così quando rivedo i musical di Fred Astaire e Ginger Rogers o di Gene Kelly e Judy Garland, che pure avevo visto la prima volta rigorosamente su grande schermo (privilegi o condanne dell’età, quando alla fine degli anni Sessanta mi regalavo una settimana a Parigi a vedere cinque film al giorno, alla Cinémathèque o nei cinemini del Quartiere Latino). E persino certi western di Ford o di Mann o di Daves mi sembrano perdere meno forza sulla televisione, anche se forse è perché li conosco davvero a memoria. Solo Peckinpah mi fa sempre rimpiangere le visioni del cinema…

E allora, per tornare alla (ri)visione di La la land, mi sono chiesto cosa si perde a guardare un film direttamente sul piccolo o sul piccolissimo schermo. E soprattutto se fosse giusto giudicare un’opera nata per esser proiettata al cinema quando non la si vede in sala. Un critico d’arte serio non giudica una mostra solo dalle riproduzioni del catalogo: quello può aiutare per recuperare certi particolari, per ricordare un percorso o ritrovare un filo logico, ma l’opera va vista solo come è stata creata dal suo autore, nelle proporzioni e nella grandezza originali. E allora perché quello che pretendiamo per l’arte visiva non dovrebbe valere per l’arte cinematografica? Certo, oggi Netflix produce film d’autore che a rigor di logica si potranno vedere solo sullo schermo di casa e sarei curioso di sapere che posizione prenderà Scorsese, il cui prossimo film sarà prodotto da Netflix con una bella paccata di milioni, quando non potrà mostrare la sua opera su un vero e proprio grande schermo. Ma chi continua a lavorare perché le sue immagini siano bigger than life cosa dovrebbe dire quando vengono viste solo su pochi centimetri quadrati? Non avrebbe ragione di arrabbiarsi? O comunqe di chiedere – se non di pretendere – che siano dichiarte le condizioni di visione? Su YouTube c’è un breve filmato di David Lynch (youtu.be/wKiIroiCvZ0) di cui consiglio caldamente la visione e che andrebbe proiettato in ogni sala prima di ogni programmazione cinematografica. Facciamo nostro il suo appassionato Get Real!
(Paolo Mereghetti, Ciak)

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